Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2018
nel Distretto della Corte d’Appello di Firenze
ANNO GIUDIZIARIO AL VIA A FIRENZE, AUMENTANO I REATI – SERVIZIO DI LEX TV ( Link )
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE
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TESTO
Saluto, con sincera deferenza, il Presidente della Corte Costituzionale, Prof. Paolo Grossi, la cui rinnovata partecipazione a questa cerimonia, è l’ulteriore segno dell’attenzione e del rispetto, suo personale e della Corte, nei confronti della giurisdizione e del ruolo essenziale che la nostra Carta Costituzionale le assegna nel percorso di affermazione e tutela dei suoi valori fondanti. A tale proposito, abbiamo molto apprezzato che il Primo Presidente della Suprema Corte abbia voluto dedicare proprio alla nostra Costituzione la sua relazione in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tenutasi ieri in Cassazione.
Porgo i più cordiali saluti alla Presidente della Corte d’Appello ed al Procuratore Generale, agli autorevoli rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia, a tutti i Dirigenti degli Uffici Giudiziari, ai Magistrati togati ed onorari del Distretto, a tutto il personale amministrativo, all’Avvocato Distrettuale dello Stato.
Al Sindaco di Firenze, oltre al saluto rispettoso, rivolgo il ringraziamento per aver accolto l’invito per un prossimo incontro con il Consiglio dell’Ordine che ho l’onore di rappresentare.
Un sincero ossequio a tutte le Autorità civili, militari, accademiche e religiose, ai Parlamentari, ai rappresentanti degli altri Ordini professionali, ai Colleghi tutti ed al personale dei nostri Ordini.
Si associano ai miei saluti i componenti toscani del Consiglio Nazionale Forense (i colleghi Rosa Capria e Vito Vannucci) ed i Presidenti dei Consigli degli Ordini del Distretto con i quali condivido l’esperienza dell’Unione Distrettuale degli Ordini Forensi della Toscana, presieduta, nel mandato in corso, dal collega Piero Melani Graverini, Presidente dell’Ordine di Arezzo, che svolgerà un intervento nella fase riservata al dibattito.
Svolgo questo mio intervento anche quale componente per il nostro Distretto – unitamente al collega Lamberto Galletti, presidente dell’Ordine di Prato – dell’assemblea dell’Organismo Congressuale Forense, costituito dal Congresso Nazionale Forense dell’ottobre del 2016 in attuazione dell’art. 39 della nostra legge professionale; organismo al quale è assegnato il compito di rappresentanza “politica” dell’Avvocatura, in affiancamento a quella istituzionale riservata al Consiglio Nazionale Forense a livello nazionale ed ai Consigli dell’Ordine a livello circondariale.
Consentitemi di iniziare questo mio intervento facendo un appello alla memoria, con un sommesso richiamo al dovere di non dimenticare.
Oggi, in tutto il mondo, si celebra la “giornata internazionale della commemorazione in memoria delle vittime della ferocia nazista”; lo ha voluto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite con una risoluzione del 1 novembre 2005, scegliendo la data del 27 gennaio in ricordo di quel giorno del 1945 quando le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz svelando al mondo intero l’orrore del genocidio nazifascista. Al nostro Paese, il merito di avere, alcuni anni prima della risoluzione delle Nazioni Unite, istituito con legge dello Stato, nella stessa data, il “giorno della memoria”.
La risoluzione dell’ONU del 2005 impegna tutti gli stati membri delle Nazioni Unite ad inculcare nelle generazioni future le “lezioni dell’olocausto”; un significato simbolico, una commemorazione pubblica delle vittime della Shoah e delle leggi razziali approvate sotto il fascismo, il ricordo collettivo degli uomini e delle donne, ebrei e non, che sono stati uccisi, deportati ed imprigionati, e di tutti coloro che si sono opposti alla ‘soluzione finale’ voluta dai nazisti, rischiando la vita e spesso perdendola.
Qualche giorno fa, a Roma, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, ha organizzato un incontro con il titolo “La vera legalità” per riflettere sull’esperienza delle leggi razziali e per interrogarsi collettivamente sul come sia stato possibile scrivere una delle pagine più vergognose della storia italiana. Il resoconto dell’iniziativa, sulle pagine de IL DUBBIO (giornale di riferimento del Consiglio Nazionale Forense) ci segnala che tutti gli intervenuti (il Ministro della Giustizia il Vice Presidente del CSM, il Primo Presidente Emerito della Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente del CNF ed altri ancora) hanno condiviso che non è sufficiente onorare la memoria per pacificare un Paese e garantire a una comunità una visione condivisa di futuro, perché bisogna scavare, individuare le corresponsabilità – legali, morali e storiche – che portarono all’emanazione, all’esecuzione e all’applicazione delle leggi razziali; perché per un ministro della Giustizia che firmò quei provvedimenti, ci furono magistrati che perseguirono, Tribunali che condannarono e Consigli dell’Ordine che cancellarono dagli albi gli avvocati di razza ebraica; e quasi tutta la cultura giuridica italiana che sostenne, con il silenzio, quell’ignominia.
Nel suo intervento Andrea Mascherin, Presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha lanciato un dubbio, tremendo ed angosciante, che vi ripropongo, chiedendo a tutti di interrogarsi se possiamo davvero dirci sicuri che la cultura che generò quell’inferno non sia in essere anche nella nostra società sotto le mentite spoglie della mancanza di solidarietà, della primazia della logica del profitto su quella del diritto, del linguaggio dell’odio sui giornali e sui social, dell’indifferenza nei confronti degli emarginati, del rifiuto preconcetto al confronto con chi è diverso da noi.
Ho ritenuto doveroso prendere il via da qui per parlare di Giustizia, della nostra Giustizia, della Giustizia di tutti: partire dalla memoria sempre accesa sull’ingiustizia che l’uomo è capace di coltivare fin nelle forme più subdole, perverse e crudeli per parlare della Giustizia che noi tutti dobbiamo avere il diritto di ricercare ma anche, e soprattutto, il dovere di praticare.
Qualche giorno fa, il 24 gennaio, è stata celebrata, presso il nostro Consiglio Nazionale Forense, un’altra giornata, alla quale noi avvocati teniamo particolarmente: quella dedicata agli “avvocati in pericolo”.
La data prescelta per l’iniziativa, che si celebra tutti gli anni nel mondo a partire dal 2010, è quella dell’anniversario della strage avvenuta il 24 gennaio 1977 e ricordata in Spagna col nome di “Matanza de Atocha“, quando un commando di terroristi neofascisti entrò in un ufficio di avvocati giuslavoristi situato, per l’appunto a Madrid, in Calle de Atocha, ed aprì il fuoco uccidendone cinque e ferendone quattro.
Lo scopo dell’iniziativa è quello di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su di uno specifico Paese nel quale gli avvocati che insistono e lottano per il rispetto dei diritti fondamentali, in particolar modo del diritto di difesa, e che si rifiutano di piegarsi all’ingerenza del governo, sono soggetti a vessazioni, minacce, intimidazioni, violenze di ogni sorta, ed arresti arbitrari, oltre che a processi nei loro confronti privi delle minime garanzie di difesa, con conseguenze infauste per la democrazia e lo Stato di diritto del paese stesso.
Quest’anno la giornata è stata dedicata agli avvocati egiziani, negli ultimi due anni ai colleghi turchi ed a quelli cinesi.
La carta dei “principi di base sul ruolo degli ordini forensi” approvata nell’ambito dell’VIII° Congresso delle Nazioni Unite svoltosi nel 1990 a L’Avana sulla prevenzione del crimine ed il trattamento dei trasgressori, prevede, fra l’altro, che gli avvocati devono poter esercitare la loro professione senza ostacoli, intimidazioni, molestie ed ingerenze da parte delle autorità pubbliche; che possono viaggiare e incontrare i loro clienti liberamente, nel proprio paese come all’estero; che non devono essere minacciati di divenire oggetto di procedimenti o di sanzioni economiche o di altra natura per tutte le azioni intraprese nell’esercizio delle loro funzioni nel rispetto delle norme professionali riconosciute dal codice deontologico; che non devono essere assimilati ai loro clienti o alle cause dei loro clienti a causa dell’esercizio delle loro funzioni; che gli avvocati, come tutti i cittadini, devono poter usufruire della libertà d’espressione, d’associazione, di riunione ed anche di credo. A tale ultimo proposito, non possiamo non dirci indignati per quanto accaduto nei giorni scorsi innanzi al TAR dell’Emilia Romagna, dove il Presidente ha espulso dall’aula d’udienza una giovane avvocatessa marocchina, regolarmente e brillantemente iscritta all’ordine forense di Bologna, solo perché, a viso scoperto, copriva la testa con il velo nel rispetto delle sue tradizioni religiose; alla collega va tutta la nostra (e sono certo anche la vostra) solidarietà.
Faccio mie, in maniera assolutamente convinta, le parole con cui il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha aperto il suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte di Cassazione, evocando che “è necessario ribadire, e forse riscoprire insieme, il pieno valore della nostra giurisdizione, valore che è sociale oltre che tecnico” e che “la funzione giurisdizionale non si esaurisce in quanto dettato dal titolo IV della Costituzione, ma è altresì esercizio del dovere di solidarietà e del principio di uguaglianza , affermati nella prima parte della Carta Fondamentale.”
Il Presidente Mascherin ha, giustamente, rimarcato che “coloro che operano nella giurisdizione, magistrati e avvocati innanzitutto, devono aver ben chiaro d’essere chiamati a guidare non solo e non tanto un modello tecnico di risoluzione delle controversie, ma ancor prima uno tra i veicoli di democrazia solidale pensati dai nostri padri costituenti. E allora, la corretta e piena interpretazione di detta funzione è certamente di per sé necessaria alla tutela dei diritti inalienabili, ma può assurgere anche a riferimento trainante per la crescita democratica della nostra società.”
Ancor più condivisibile è, poi, è la considerazione che, proprio in ragione di tale loro funzione, “magistrati e avvocati devono rivendicare e difendere insieme la condizione, non rinunciabile, della piena indipendenza della attività giurisdizionale, indipendenza dagli altri poteri dello Stato, ma anche da altre forme di possibile condizionamento” quali “l’invasività di un certo sistema mediatico, che, trasformando il processo in occasione di profitto, finisce con il banalizzarne e delegittimarne la funzione, e la tendenza generalizzata ad anteporre obiettivi economici o finanziari, alla necessaria qualità del processo.”
Concludo il richiamo e la citazione, con la considerazione che “questa affermazione di indipendenza della giurisdizione, necessita di una assoluta presa di coscienza del proprio ruolo da parte di magistrati e avvocati, che non può essere letto da nessuno di loro in chiave autoreferenziale o esclusiva, se è vero, come è vero, che non vi sarà mai magistratura indipendente, attendibile e verificabile nel proprio operato, in assenza di una avvocatura libera di custodire i diritti e le garanzie. E viceversa.”
Da qualche settimana si è chiusa la legislatura ed entro un paio di mesi si avvierà la prossima; l’occasione è, dunque, propizia per svolgere alcune valutazioni e proporre alcuni auspici.
Non v’è dubbio, e va rimarcato con soddisfazione, che vi sia stata una significativa inversione di tendenza per quanto concerne la considerazione ed il rispetto del ruolo della Giurisdizione e dei soggetti – magistrati, avvocati e personale amministrativo – che ne sono i protagonisti.
Dopo che nelle precedenti due legislature, ben tre ministri della Giustizia, con il responsabile avallo del Parlamento, avevano dimostrato scarso, se non nullo, interesse per lo stato comatoso della funzione più importante per lo sviluppo democratico della nostra società – arrivando persino a rivendicare come meritori interventi di vera e propria subordinazione della Giurisdizione alla primazia dell’economia – va riconosciuto che il Ministro Orlando ha mantenuto l’impegno che aveva assunto all’atto del suo insediamento, quando, sulla considerazione che l’inefficienza del sistema giudiziario “pesa in maniera decisiva e diretta sul crollo del senso di legalità, sulla sfiducia del sistema giudiziario e nei vari soggetti che compongono la giurisdizione”, richiamò l’attenzione di politica, legislatore e società civile nei confronti della funzione della Giurisdizione ricordando che, in una democrazia fondata sui valori affermati dalla nostra Carta Costituzionale, è quella di dare tutela ai diritti, per evitare, ricordo ancora le sue parole, “che lo Stato ceda il passo ad altri soggetti, non sempre collocati nell’alveo della legalità, nella risoluzione dei conflitti” giacché “è questa la deriva che può rischiare di costituire la vera privatizzazione della giustizia: l’incapacità di assicurare, tramite i soggetti legittimati dallo Stato, il riconoscimento dei diritti, facendo regredire la società ed il mercato alla brutale legge del più forte”.
Non si può non valutare positivamente quanto è stato fatto per tentare di colmare le drammatiche, scoperture di organico, sia dei magistrati che dei dipendenti amministrativi; soprattutto per quanto riguarda questi ultimi, non credo di esagerare nel qualificare come epocale lo sforzo compiuto per assicurare, per la prima volta dopo decenni, un apporto di nuove risorse più coerente con la modernizzazione dei sistemi telematici di gestione delle procedure giudiziarie.
A questo proposito esprimo il sincero apprezzamento nei confronti della Dott.ssa Barbara Fabbrini, che, da Direttore Generale della Direzione del personale e della formazione, ha davvero brillantemente gestito le complessissime operazioni concorsuali, per l’assunzione dei 200 nuovi funzionari e dei 1.400 nuovi assistenti che nelle scorse settimane hanno preso servizio nei nostri uffici giudiziari. Non possiamo però non ricordare che senza un intervento strutturale di revisione delle piante organiche (sia dei magistrati che del personale) sarà alto il rischio, anzi la certezza, dell’azzeramento di ogni attuale apparente beneficio. Solo a titolo esemplificativo, segnalo che a fronte di dieci nuovi ingressi nel Tribunale di Firenze, nel corso del 2018 vi saranno otto pensionamenti e che al Tribunale di Prato, che versa in una situazione davvero inaccettabile in relazione alla complessità delle dinamiche sociali di quella realtà, è stata destinata una sola nuova unità amministrativa.
Senza la revisione delle piante organiche, il preannunziato reclutamento di ulteriori 1.400 nuovi dipendenti amministrativi finirà per acuire ancora di più le già oggi inaccettabili disparità di trattamento fra il nostro Distretto e altre realtà distrettuali le cui dotazioni organiche, nettamente più consistenti, non sono più giustificabili sulla base di parametri e dati oggettivi.
Il Ministro Orlando aveva assicurato, ed ha mantenuto l’impegno, che si sarebbe opposto ad ogni tentativo – e ve ne sono stati, da più parti – di rallentare, se non di bloccare, la piena attuazione del processo civile telematico e l’estensione dell’informatizzazione ad altri settori del sistema giudiziario.
E’ sotto gli occhi di tutti che senza questa innovazione la giustizia civile si sarebbe paralizzata e lasciatemi rivendicare con orgoglio il ruolo, assolutamente decisivo, svolto dall’Avvocatura, a partire alle sue Istituzioni, per sostenere, anche economicamente, questa vera e propria rivoluzione, culturale ed organizzativa. Oggi però non sono più accettabili tentennamenti e ritardi nel percorso di estensione del PCT a tutto il settore civile (Giudice di Pace e Corte di Cassazione) e di forte informatizzazione nel settore penale.
Agli autorevoli rappresentanti del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura posso assicurare che tutti gli Ordini del Distretto sono pronti a fare la loro parte, con lo stesso impegno che negli scorsi anni quelli di Firenze, Prato e Pistoia hanno assicurato ai rispettivi Uffici Giudiziari.
In questi ultimi anni si è molto sviluppato, fino a proporsi quasi come “sistema” il metodo di lavoro fondato sui tavoli comuni fra magistrati, avvocati e personale amministrativo; nel nostro Distretto molte, ed assai significative, sono le esperienze di questo tipo.
E’ un modo di operare che riteniamo essenziale, non solo per il valore simbolico che ha il condividere, tutti insieme, le reciproche esperienze e difficoltà con l’obiettivo di risolverle nell’interesse comune del buon funzionamento della Giurisdizione, ma anche perché consente di condividere e valorizzare progetti e risorse che, altrimenti, rischierebbero di disperdersi in iniziative parziali ed inefficaci.
A Firenze, per quanto concerne sia la Corte d’Appello che il Tribunale, il metodo del confronto continuo è stato applicato anche all’interlocuzione fra Dirigenze degli Uffici e Consiglio dell’Ordine con riguardo alla formazione delle tabelle per il prossimo triennio ed ai programmi di gestione per la riduzione del contenzioso arretrato. Ringrazio pubblicamente la Presidente Cassano e la Presidente Rizzo per aver ricercato e praticato questa interlocuzione in termini assolutamente sostanziali e di merito, superando formalismi e rigidità delle procedure previste dalle vigenti circolari.
E’ un modo di lavorare insieme che meriterebbe di essere elevato a sistema ed in tal senso mi permetto di sollecitare l’attenzione e la considerazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Alla fine della prossima settimana si terrà a Firenze l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei penalisti italiani. L’Unione delle Camere Penali Italiane lo presenta come un’occasione di incontro e di confronto con tutte le componenti del mondo della giustizia, quest’anno dedicato “al rapporto fra politica e giustizia, come nodo irrisolto della modernizzazione dell’ordinamento giudiziario e del processo penale”.
Siamo lieti che la nostra città sia stata scelta per questa importante iniziativa che il Consiglio dell’Ordine ha volentieri patrocinato e sostenuto e lascio, ovviamente, al collega Luca Bisori, presidente della Camera Penale fiorentina, che interverrà nel corso del dibattito sia la presentazione dell’iniziativa sia di esprimere la posizione dei colleghi penalisti sui provvedimenti legislativi che hanno riguardato la giustizia penale, limitandomi qui a ricordare, da un lato, che la qualità del processo penale non può prescindere dall’esistenza di un contraddittorio pieno tra accusa e difesa – che invece la recente riforma riduce con gli interventi in tema di partecipazione a distanza dell’imputato facendo prevalere le ragioni del contenimento dei costi rispetto a quelle della difesa effettiva e della partecipazione dell’imputato al processo in cui si decide della sua libertà personale – e, dall’altro, che preoccupa moltissimo il progressivo spostamento dell’azione repressiva dal terreno garantito del processo penale a quello delle misure di prevenzione.
Concludo riprendendo ancora un passaggio dell’intervento del Presidente del Consiglio Nazionale Forense nella cerimonia inaugurale di ieri mattina in Cassazione, laddove ha espresso la soddisfazione dell’Avvocatura nei confronti del Ministro della Giustizia, del Governo e del Parlamento per avere intrapreso, soprattutto nella parte finale della legislatura, un importante percorso di riconoscimento del nostro ruolo professionale e di attenzione per la dignità del nostro lavoro con gli interventi in materia di equo compenso, di revisione dei parametri forensi e di legittimo impedimento delle colleghe in gravidanza.
A tale ultimo riguardo, però, consentitemi di aprire una parentesi.
Il Primo Presidente Emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, qualche settimana fa commentò questa novità legislativa con condivisibile amarezza, ritenendo che un maggior buon senso da parte dei giudici sarebbe stato più che sufficiente a dare soluzione al problema piuttosto che costringere il legislatore a disciplinare imperativamente la fattispecie. Mi dispiace, davvero molto, rilevare che purtroppo il richiamo al buon senso non basta, se è vero che, nonostante il precetto legislativo ormai vigente, proprio ieri abbiamo dovuto apprendere che il Tribunale penale di Livorno ha respinto la richiesta di differimento avanzata da una collega e supportata da più che idonea certificazione medica attestante la sua gravidanza a rischio, motivando, testualmente, che nella certificazione in questione non erano state specificate “quali siano le precauzioni cui l’avvocato deve attenersi per prevenire il rischio della salute propria e del feto”. Ogni commento ci pare, sinceramente, superfluo.
Tornando alla maggiore e nuova considerazione che è stata manifestata nei confronti della nostra professione e del nostro ruolo, dentro e fuori la Giurisdizione, l’auspicio è che le forze politiche, le nuove rappresentanze parlamentari e la prossima compagine governativa vogliano e sappiano proseguire nell’interlocuzione costante ed effettiva con le nostre rappresentanze istituzionale, politica ed associativa.
Per parte nostra, come ha assicurato il Presidente Mascherin, non intendiamo desistere dal metodo del confronto dialettico e costruttivo “che deve fondarsi comunque sull’ascolto di chi ogni giorno opera nei tribunali da parte di chi è chiamato a legiferare, e sul supporto tecnico e responsabile che i primi possono e devono dare, contribuendo così a contrastare le spinte verso un rischioso modello di società costruito sull’antipolitica”.
A tutti noi un sincero augurio di buon anno giudiziario 2018.
Sergio Paparo
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA PENALE DI FIRENZE – AVV. LUCA BISORI
Pubblichiamo l’intervento tenuto dal Consigliere Gaetano Viciconte in nome dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2018 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Toscana (link)