Egregio Dottor Fubini,
ho letto con molto interesse il Suo editoriale (“Radiografia di un declino”) al quale, per l’importanza del tema e l’autorevolezza della Sua firma, La Repubblica di ieri ha riservato la prima pagina.
Lei scrive, a proposito della crisi della giustizia civile italiana, che i processi in Italia durano più di tre volte che in Germania perché “i magistrati sono pochi e non vengono valutati sul loro rendimento” e “perché gli avvocati continuano a prendere le parcelle basate sulla durata di un caso”.
Mentre la prima valutazione (quella sul numero dei giudici) è in gran parte fondata (Le segnalo che a fronte di poco più di 8.000 magistrati togati in Italia amministrano giustizia oltre 12.000 magistrati laici retribuiti sostanzialmente a cottimo), la seconda (quella sul sistema parcellare degli avvocati e sul suo rapporto con la durata dei processi) è assolutamente infondata.
Poiché immagino che la funzione principale di un’analisi quale quella da Lei sviluppata sia principalmente quella di stimolare il ragionamento dei lettori ai quali, ovviamente – per rigore scientifico di chi quell’analisi propone – vanno forniti dati certi su cui riflettere, allora mi permetto di contribuire ricordandoLe che il sistema tariffario forense non ha MAI considerato come parametro di riferimento la durata dei processi ma solo le attività effettivamente svolte dall’avvocato (e ciò sia prima che dopo le manovre di “liberalizzazione” attuate dapprima dal Ministro Bersani nel 2006 e poi dai Governi Berlusconi e Monti nel 2011 e 2012).
Tenga poi anche presente che la gestione dei tempi del processo è – ormai da quasi trenta anni – del tutto sottratta alle scelte difensive degli avvocati ed affidata al magistrato; il nostro ordinamento impone il rispetto di cadenze processuali molto serrate; anche se è purtroppo vero il detto che “i termini per gli avvocati sono sanzionatori mentre quelli per i giudici solo canzonatori” (nel senso che il magistrato che non li rispetta non ha conseguenze mentre a danno delle parti assistite dagli avvocati maturano preclusioni e decadenze a iosa).
Un’ultima considerazione : sempre più spesso, ed ormai da anni, gli avvocati vengono compensati per il loro lavoro in ragione del risultato che conseguono e solo all’esito del giudizio. L’interesse, anche economico, di un avvocato è dunque l’esatto contrario di quello di “perdere tempo” da Lei proposto ai Suoi lettori come causa della crisi della giustizia.
La ringrazio per la Sua attenzione e Le porgo i miei più cordiali saluti.
Sergio Paparo (avvocato)
Ordine degli Avvocati di Firenze