CASO FORTETO – LETTERA DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE AI DIRETTORI DI LA NAZIONE E LA REPUBBLICA

Egregio Direttore,
mi permetto di intervenire sul “caso Forteto”.
Chiunque sia parte di quel difficilissimo processo ha diritto a che si esprima una parola chiara sulla imparzialità dei giudicanti: non solo gli imputati, ma ogni parte (l’accusa e le parti civili) ha interesse (deve avere interesse) a che sul processo, e poi sul suo esito, non aleggi l’ombra del sospetto sulla terzietà dei giudici e sulla loro serenità di giudizio.
Per questo assisto con stupore alla ridda di dichiarazioni e di commenti, molti dei quali serenamente assegnabili alla categoria delle parole in libertà, che hanno accompagnato la decisione della Corte d’Appello sull’istanza di ricusazione del Presidente del Collegio giudicante.
Conosco la statura professionale dei Giudici che l’hanno pronunciata, così come del Giudice ricusato, e non appartengo al novero di coloro che trattano le decisioni giudiziali alla stregua delle Tavole della Legge: chi ha titolo e ritiene d’avere argomenti per impugnare la decisione, lo faccia; per parte mia non ho certezze, e sono tanto ingenuo da pensare che solo il rigoroso rispetto delle regole può condurre a decisioni giuste.
Trovo però intollerabile, e persino umiliante (per il lavoro che tutti noi ‘operatori della Giustizia’ svolgiamo quotidianamente), che una sequela di soggetti totalmente digiuni – prima ancora che di nozioni tecniche – della benché minima cultura della Giurisdizione possa esprimersi non solo sulla fondatezza della ricusazione e sulla giustizia della decisione presa  ma addirittura sulle ragioni (recondite e segrete) che avrebbero condotto i tre magistrati della Corte a pronunciarsi “in favore del Forteto”.
La nostra Costituzione assegna solo al Giudice, e solo all’esito di un processo svolto nel rispetto delle regole fissate dal codice, la responsabilità (enorme ) di dire se gli imputati sono colpevoli o innocenti; i processi fatti sui giornali o nei salotti televisivi sono una aberrazione che nulla ha a che vedere con il diritto (sacrosanto) ad una corretta informazione, anche critica.
Il danno recato all’immagine della Giustizia fiorentina dai mestieranti dell’argomento dietrologico oramai è fatto: ed è forse irrimediabile.
Perché chiunque giudicherà in quel  processo sarà esposto non solo alla fisiologia delle censure processuali ma, prima ancora, alla patologia della gazzarra da bar, elevata al rango del dibattito di opinioni qualificate.
Il clima di questi giorni mi atterrisce, come cittadino prima che come avvocato.

Cordialità
Sergio Paparo