Il 18 gennaio 2025 la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Osama Elmasry Njeem, noto anche come Osama Almasri Njeem, responsabile delle strutture carcerarie di Tripoli dove migliaia di persone sono state detenute per periodi prolungati. L’uomo è sospettato di crimini contro l’umanità e di guerra, tra cui omicidio, tortura, stupro e violenza sessuale, commessi in Libia dal febbraio 2015 in poi: la Corte ritiene che il sig. Njeem Almasri abbia commesso personalmente questi reati o che ne abbia ordinato la commissione a membri delle Forze speciali al suo comando. I crimini sarebbero avvenuti nel carcere di Mitiga, contro persone imprigionate per motivi religiosi (cristiane o atee), per loro presunte contravvenzioni morali (ad esempio, perché sospettati di omosessualità), o per il loro presunto sostegno ad altri gruppi armati.
Lo stesso 18 gennaio 2025, la CPI ha chiesto l’arresto del sospetto a sei Stati Parte, tra cui la Repubblica Italiana, adoperando i canali interni designati da ciascuno Stato (per l’Italia il Ministero della Giustizia); la richiesta – si legge nel report pubblicato dalla CPI – è stata preceduta da una consultazione preliminare con ciascuno Stato, per garantire l’attuazione della richiesta. Parallelamente, la Corte ha trasmesso l’ordine anche all’INTERPOL.
Il sospettato è stato rintracciato a Torino nelle prime ore di domenica 19 gennaio 2025 ed è stato arrestato dalla Polizia italiana, in esecuzione della richiesta della CPI.
Al seguente link si può leggere il report della corte Penale Internazionale sul caso in esame:
Il 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma, su conforme richiesta della Procura Generale, ha ordinato il rilascio del sig. Njeem Almasri, con ordinanza del 21 gennaio 2025, che si può leggere al seguente link:
https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2025/01/NAJEEM-Osema-Almasri-Habish.pdf
In sintesi, le ragioni della decisione risiedono in questo: la procedura prescritta dalla Legge 237/2012 (con la quale è stato recepito nel nostro ordinamento lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale) stabilisce che la richiesta di arresto, trasmessa dalla CPI al Ministro della Giustizia, sia da questo trasmessa alla Procura generale presso la Corte d’Appello per la richiesta di emissione di una misura cautelare alla Corte; nel caso di specie, l’arresto è invece avvenuto, inizialmente, per diretta iniziativa della Polizia giudiziaria; il Ministro della Giustizia, pur avendo ricevuto la richiesta dalla CPI, non ha però trasmesso alcuna richiesta alla Procura Generale di Roma, neppure dopo avere ricevuto – si legge nell’ordinanza – gli atti dell’arresto della Questura di Torino, sin dal 20 gennaio 2025.
Per un esame più completo del provvedimento, si può rinviare alla nota dell’Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali Italiane, al seguente link:
Il caso “Almasri”. – Camere Penali sito ufficiale
Immediatamente dopo la liberazione, il sig. Njeem è stato raggiunto da decreto di espulsione dal territorio italiano, emesso dal Ministro dell’Interno che ha così spiegato la vicenda nel corso di una risposta al question time in Parlamento: “A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma, considerato che il cittadino libico era ‘a piede libero’ in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato. Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale”.
Secondo le notizie di stampa, confermato poi dalle fonti governative, il sig. Njeem è stato rimpatriato su un aereo messo a disposizione dallo Stato italiano, lo stesso 21 gennaio.
Di queste ore, infine, la notizia della notifica, alla Presidente del Consiglio dei Ministri e ad altri esponenti del Governo, di una comunicazione ex art. 6 della Legge costituzionale n.1/1989 (istitutiva del cd. Tribunale dei Ministri), effettuata dalla Procura di Roma a seguito di una denuncia presentata da un noto avvocato.
La vicenda ha da subito suscitato una viva discussione sugli organi di stampa ed una infuocata polemica politica, specialmente a seguito degli ultimi sviluppi giudiziali: polemica che rischia però di oscurare il significato giuridico di quanto accaduto, che ha invece precise radici nella inadeguatezza del nostro sistema normativo nel perseguire i crimini contro l’umanità e di guerra.
Di queste inadeguatezze si è diffusamente parlato in un recente Convegno organizzato dalla Fondazione per la Formazione Forense e dall’Ordine degli Avvocati di Firenze lo scorso 9 dicembre 2024, nel corso del quale è stata illustrata l’attuale situazione dell’ordinamento italiano rispetto agli obblighi assunti dal nostro Paese con l’adesione al Trattato istitutivo della Corte penale Internazionale, denominato Statuto di Roma perché siglato proprio nella nostra Capitale, nell’oramai lontano 1999.
Ad oggi ancora mancano nel nostro ordinamento, infatti, le disposizioni attuative necessarie ad assicurare che i crimini descritti nello Statuto possano essere sottoposti alla giurisdizione italiana, secondo il cd. principio di complementarità, alla cui stregua la Corte internazionale non ha giurisdizione quando un crimine è o è stato oggetto di un procedimento penale davanti alle autorità giudiziarie di uno Stato aderente. In assenza di una simile legislazione, secondo la Convenzione, la giurisdizione della Corte nasce dalla “assenza di volontà” o dalla “incapacità di perseguire crimini internazionali” da parte dello Stato in parola.
Questa mancanza di volontà può forse corrispondere alle intenzioni di un Paese che ha ospitato nella sua Capitale e presieduto con un suo autorevole giurista, il professor Conso, la conferenza che ha adottato lo Statuto della Corte?
A distanza di vent’anni dall’entrata in vigore dello Statuto, nel 2022 il Ministro della Giustizia ha istituito una Commissione per la redazione di un Codice dei crimini internazionali, presieduta dai professori Francesco Palazzo e Fausto Pocar; nel giugno del 2022, dopo lavori rapidi e intensi, la Commissione ha predisposto e consegnato al Ministro un Progetto di Codice, di cui si sono tuttavia perdute le tracce, e che non è stato ancora proposto in un disegno di legge, né governativo né parlamentare.
Del progetto hanno parlato, nel corso del convegno, gli autorevoli componenti di quella commissione: il co-presidente, prof. Francesco Palazzo dell’Università di Firenze, ed i professori Marco Pedrazzi dell’Università di Milano, Antonio Vallini dell’Università di Pisa ed Emanuela Fronza dell’Università Bologna.
Il collega avv. Ezio Paolo Menzione, co-responsabile dell’Osservatorio Avvocati Minacciati UCPI, è intervenuto narrando anche la propria esperienza personale, di diretta testimonianza di ciò che accade nei luoghi ove quei crimini avvengono, ove si minacciano anche gli avvocati che con coraggio svolgono la propria funzione di tutela dei diritti fondamentali delle persone.
Se l’Italia avesse adempiuto agli obblighi rivenienti dalla firma del Trattato di Roma, la repressione dei crimini contro l’umanità e dei crimini di genocidio, di guerra e di aggressione, potrebbe essere affidata agli organi del nostro ordinamento processuale penale: quanto abbiamo poc’anzi descritto non sarebbe avvenuto, poiché la magistratura avrebbe agito sulla base del principio di giurisdizione universale in materia di crimini contro l’umanità, ed il sig. Njeed avrebbe potuto essere processato in Italia, con le garanzie proprie del nostro sistema processuale.
Pubblichiamo la nota della Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione Europea sulla vicenda Almasri (link)
Chi non avesse avuto la possibilità di prendere parte al Convegno di Fondazione, può trovarne la registrazione accedendo dalla pagina dell’evento al seguente link (e qui potrà trovare anche ulteriore materiale di consultazione):
http://www.fondazioneforensefirenze.it/eventi_view.aspx?id=3228